In tempi così chiassosi e di sfide tra urlatori, tanto aggressivi quanto apatici, l'attività del dipingere è già esercizio di ascesi e contemplazione e l'invito a guardarne i frutti in una mostra è occasione di riflessione e comunicazione autentica. E' quanto ci propone Sandro Giordani che espone per la prima volta una serie di acquarelli di paesaggio urbano, vedute, scorci, ritagli di case e vie di Rovereto.
Giordani ha già alle spalle una stagione di lavoro nella quale si è dedicato a costruzioni fantastiche di incastri geometrici e spaziali piuttosto interessanti, di cui rimane evidente traccia nella cura del disegno, della composizione prospettica e scansione dei piani.
In questa fase egli si accosta alla modalità impressionistica, interpreta la pittura come ricognizione ed esplorazione selettiva delle sommesse meraviglie dei luoghi quotidiani, di cui sa cogliere e suggerire la capacità d'incanto e di grazia.
Bisogna sempre accostarsi ad ogni pittura, quanto più è sincera e appassionata, anche se non clamorosa, ricordando che essa è un linguaggio in cui piccoli elementi materiali, polveri acqua e carta, sono condotti e resi capaci, da una mano pensosa e commossa, di accendere pensieri ed emozioni.
Chi si lascia educare all'ascolto anche di queste opere avvertirà la sottile magia che regala illuminazioni e conforto agli occhi e alla fantasia.
Marco Morelli
Dal giornale ALTO ADIGE (31 luglio 2001)
“Sandro Giordani: acquarello poetico”
“Poesia e malinconia negli acquarelli di Sandro Giordani” è il titolo di un intervento a firma di Mario Cossali dedicato alla pittura e alle forme di espressività dell’artista, definito “ricercatore dell’anima segreta” del paesaggio e al tempo stesso comunicatore di emozioni: Un artista che grazie alla sua tecnica sa indurci alla meditazione. L’acquerello di Sandro Giordani, che i roveretani hanno potuto ammirare in questi giorni nello spazio espositivo in via Portici, si presenta come una forma di pittura gentile e leggera attraversata da una sottile forma di malinconia.
Proprio per questo si tratta di un acquerello che vive una duplice dimensione, quella sinceramente conoscitiva tesa a ricercare l’anima segreta del paesaggi più amato e quella scopertamente poetica legata alla rivelazione di intime e trepidanti emozioni.
Sandro Giordani ha presentato una serie di acquarelli che si sono fatti notare per la tecnica originale nella quale si distingue il movimento a tutto campo dell’acqua rispetto a un movimento molto più misurato e riservato del colore.
Gli scorci della Vallagarina rivivono con pienezza compositiva e si trasformano in luoghi della mente, per la meditazione e la contemplazione più vitale.”
Mario Cossali
Recensione di Elisabetta Rizzioli (anno 2002)
Impressionismo quello di Giordani, legato alla corrente figurativa della poetica paesaggista della composizione volumetrica, all’immagine di vedute, scorci prospettici trentini, lagarini, roveretani, quartieri rustici, caseggiati popolari, masi casolari, castelli. Emergono qui chiaramente la netta preminenza del colore, steso a pennellate dai toni cromatici accesi, sapientemente annacquate, larghe e rotondeggianti che definiscono morbidamente i piani e i contorni, sul disegno e un’organizzazione spaziale dinamica che presenta qualche lontana ascendenza cèzanniana; gli spazi respirano la luce che invade decisa le solari penombre descrivendone realisticamente vicoli, dimore angoli, visioni e immagini dell’apparire della natura tra luminosità e caratteri locali le cui suggestioni in sfavillanti policromie e trascolorano in soffuse e silenziose atmosfere campestri di paesaggi dai tracciati limpidi, leggeri e incisivi, mai privi di atmosferismi odi verismi fotografici. Monti, villaggi e campi si pongono di seguito gli uni agli altri, rinunciando alla violenta costruzione della prospettiva, per dipanarsi e distendersi in ritmi altalenanti.. Panorami e nature morte – non prive di qualche eco iperrealista – allargano i termini simbolici e allegorici delle composizioni o li sintetizzano con significative operazioni di riduzione della realtà e stilizzazione delle forme, che mantengono tuttavia un chiaro ricordo degli oggetti, da cui provengono echi di memoria quotidiana e tensione effettiva, ovvero, un taccuino di istantanee tratte dalla realtà. La lettura del paesaggio, e dunque la sua rappresentazione pittorica, si configura talora in macchie colorate che si impongono nello spazio, amalgamate in morbida e soffusa cromia.
Elisabetta Rizzioli
Recensione di Mario Cossali (anno 2004)
Mostra personale: Omaggio a Depero nella pittura di Sandro Giordani
“La pittura di Sandro Giordani divertita sulle orme di Fortunato Depero”
Molti conosceranno l’acquerello poeticamente ispirato di Sandro Giordani e probabilmente gli stessi resteranno stupiti di fronte a questa mostra dell’artista roveretano che si rifà senza mezzi termini e senza tanti artifici concettuali o compiacimenti retorici alle forme giocose e ai colori pieni di Fortunato Depero.
Si tratta in fondo di un’operazione affettiva, che mette in luce le potenzialità tecniche di Sandro Giordani e la sua straordinaria dimestichezza con le energie più ricche del colore, ma dire questo non vuol certo dire sminuire la portata inventiva, semmai piuttosto vuol dire sottolineare l’intima caratteristica, che finisce per valorizzare in modo esemplare il risultato compositivo del segno deciso e del colore squillante. Il gioco rutilante delle forme ci trasporta in un mondo fantastico, che sembra avvolgere con le sue spire il mondo reale e trasformarlo in una sorta di palcoscenico sul quale c’è posto per ognuno di noi, a patto che si lasci liberamente coinvolgere senza pregiudizi e a patto che voglia dare il peso che nella vita loro spettano all’immaginazione, al sogno e a quell’incredibile contaminazione tra arte e vita, che determinò con ostinata coerenza il cammino creativo di Fortunato Depero. C’è dentro di tutto in questa appassionata ricerca di Sandro Giordani: il paesaggio creato dall’uomo e la vivacità della natura, la visione del tempo quotidiano mescolata con quella del tempo della fantasia più sfrenata. Ci troviamo di fronte a scommessa pittorica intrigante, deduttiva, che merita da parte nostra un incontro altrettanto spregiudicato e caricato di quella musica frizzante con la quale Depero ha saputo sempre farci incontrare e che oggi Giordani si diverte a farci abilmente e nello stesso tempo piacevolmente ritrovare.
Mario Cossali
Recensione di Carol Giordani su Catalogo (anno 2006)
Mostra "Il viaggio intrapreso al Richiamo" U.C.A.I. - Centro Bernardo Clesio, Trento
I vari luoghi della terra sono anch’essi degli esseri con personalità tanto forti che taluni muoiono se ne sono separati e comunque tanto particolari che molti ricercano ogni anno il diletto della loro compagnia e conservano nella loro assenza il ricordo del loro incanto. E ognuno di essi ha di volta in volta le sue espressioni onde chi ama un luogo, ama i tempi diversi e tutte le ore del giorno. Perché sente che la vita di un luogo per quanto possa sembrare poco animato è in realtà più vario di quanto siamo soliti credere.
Questa riflessione di Marcel Proust, racchiude l’essenza del percorso artistico del pittore Sandro Giordani, nato in un piccolo paesino trentino, e vissuto, a seguito dell’attività lavorativa del padre, in diversi luoghi. Questo peregrinare giovanile da un luogo all’altro, ha sviluppato nell’artista quella dolce nostalgia che sommessamente sembra velare le sue opere, riportando alla luce ricordi sbiaditi di colori, di atmosfere, di paesaggi vissuti. La sua sensibilità per la natura e per i suoi incanti e la sua sorprendente capacità di osservazione lo portarono sin da piccolo a sviluppare una propensione per il disegno e successivamente alla sperimentazione di varie tecniche pittoriche e vari stili. Ma fra tutti, prevalse la difficile disciplina dell’acquerello, che con la sua immediatezza e le sue dissolvenze gli ha impedito di disperdere quel patrimonio personale di ricordi, circondandolo nuovamente della quotidianità dei luoghi da lui amati.
Carol Giordani
Recensione di Maurizio Scudiero (anno 1996)
Mostra "Percorsi Paralleli" - Sala Iras Baldessari, Rovereto
Da Costa e Giordani strade divergenti ma parallele
Può certo sembrare una contraddizione l'assunto del titolo che apre questo testo, proprio perché anche al più sprovveduto risulta immediatamente evidente, già ad una prima frettolosa occhiata, che Sandro Giordani dipinge paesaggi "ben riconoscibili", mentre, al contrario, Enzo Da Costa e già in piena fase di sperimentazione non oggettiva. E allora, penserà qualcuno, come si può parlare di parallelismo, che presuppone quanto meno una sorta di simmetria, o almeno (anche geometrica-mente) un percorso equidistante, seppur differente.
Quest'affermazione si può pero comprendere se si affronta il lavoro dei due artisti (che hanno alle spalle già un nutrito bagaglio di lavoro ed esposizioni, come si può evincere dalle biografie in calce al catalogo)alla luce delle logiche e delle teorie dell'arte contemporanea, cioè con un approccio fenomenologico e concettuale, anziché in un'ottica meramente estetica (nel senso della "ricerca del bello") e dunque prettamente "visiva". Se, infatti, affrontassimo l'opera dei due artisti alla luce di un giudizio "formale" (che e quello del succitato secondo caso) e ovvio che, da una parte, il Giordani sembra ancora immerso nel solco della "tradizione figurativa", mentre dall'altra, il Da Costa si mostra già avviato sulla strada delle ricerche di "avanguardia". Giudizio lineare perché appunto dettato da un approccio essenzialmente "visivo", che, sulla sola scorta della "riconoscibilità iconica" porta subito a classificare come figura-tivo l'uno e astratto l'altro. In realtà, con buona pace di molti critici astratto-dipendenti, le cose non stanno propriamente così, proprio perché da quando verso la meta del XIX secolo fu inventata la "macchina fotografica" il mondo dell'arte fu immediatamente attraversato da una "lama" che lo taglio in due: un "prima" e un "dopo". Un "prima", quando si dipingeva la "visione della realtà" grossomodo tale a quale essa era, e un dopo fortemente condizionato proprio da questa scoperta. In altre parole, dal momento che una "macchina" avrebbe "fissato la realtà" in maniera ben "più reale" della pittura, gli artisti dovettero inevitabilmente andare "oltre", cioè avviarsi a dipingere una "interpretazione della realtà". In sostanza da quel momento iniziarono anche i primi "moti" pre-impressionisti i cui artisti (come recita appunto il nome) non dipingevano la realtà ma appunto le "impressioni" di quella realtà. E dunque, per giungere a tempi recenti, quando negli anni Ottanta Achille Bonito Oliva "lancio" la Transavanguardia, avvio appunto una "reazione" ad anni di informale, minimalismo e concettualismo spinto, riappropriandosi delle pittura-pittura ma anche di una nuova "figurazione", che non può assolutamente essere definita "neo-figurativismo" ma propriamente una "visione concettuale della realtà".
Ritornando perciò ai nostri due artisti, e alla luce di quanto sopra, risulta evidente che ciò che gli distingue e solamente la "scorza esteriore", la "forma" data alla loro pittura, insomma il "linguag-gio" che ognuno ha scelto per "comunicare l'idea di una visione, o il suo lato concettuale. Giordani ha trovato più consono alla sua natura, ed al suo carattere una "cifra" figurativa, mentre il Da Costa, ha giocato di più con le forme ed i colori disgiunti da una "forma riconoscibile". Si tratta, per ambe-due, di differenti interpretazioni di medesimi concetti. Ma credo sia difficile affermare che il Giordani sia un pittore figurativo tradizionale proprio perché queste sue visioni soffuse, quasi avvolte in una nebbia, suggeriscono piuttosto il resoconto di una visione "onirica" o, appunto, di una "rielaborazio-ne mentale" di una visione reale, che certo non e quella poi realizzata. A sua volta il Da Costa, che sino a poco tempo fa ha operato, anche lui, su di un versante ben più "figurativo", propone oggi questi suoi nuovi dipinti che mostrano una grande apertura sperimentale a più linguaggi: dall'astrattismo geometrico, al dinamismo futurista, al montaggio di immagini quasi fotografiche unite a campiture cromatiche, e che comunque ha rielaborato e metabolizzato in una "cifra stilistica" del tutto personale. Ma e fin troppo chiaro, che al di la degli esiti "non-oggettivi", che la "matrice" di queste nuove opere e pur sempre il "dato reale", che il Da Costa rielabora via via in una visione sintetica ben più estrema di quella del Giordani.
Ecco, allora, che su questi presupposti operativi possiamo affermare che le strade percorse dai due artisti sono "parallele", per quanto concerne l'approccio alla prassi concettuale del contemporaneo che rielabora la visione del reale, ma allo stesso tempo "divergenti" per quanto concerne invece la "forma" (diremmo meglio il "vestito") che ognuno dei due artisti ha invece scelto per "riversare" sulla carta o sulla tela quella "rimeditazione concettuale" (appunto differente, da artista ad artista) di quella "visione del reale".
Per nessuno dei due e, beninteso, un punto d'arrivo. Forse Giordani ha ancora spazi di manovra più ampi, nel caso procedesse "oltre", lasciandosi alle spalle i dati oggettivi, mentre il lavoro di Da Costa, gia di per sé avanzato, può invece operare sulle modalità di "confezione" dell'opera d'arte, oppure, anche, percorrere nuove "forme di figurazione" che tengano conto di questa sua esperien-za non oggettiva.
Del resto questa e la caratteristica principale dell'arte contemporanea: la mescolanza e la mimesi continua dei linguaggi alla ricerca delle infinite possibilità di comunicazione di un "pensiero".
Maurizio Scudiero
Recensione di Alessandro Franceschini
“Scrivere colori, dipingere parole”
Ancora Veronica, ma tratta dal libro Luna Mata del 1979, è la protagonista del quadro. Da dietro la sua finestra-prigione, una Veronica dipinta da Sandro Giordani guarda il mondo con gli occhi di chi pare non aver più nulla da chiedere e da dire.
I gorofolini sotto il suo petto di donna fresca e zovena, sono l’immagine della vita ancora entusiasta che si mescolano con lo sguardo malinconico, invecchiato indurito dalla vita. I tono velati con cui Giordani realizza l’opera, creano efficacemente quell’atmosfera di vuoto nel quale “la Veronica di Pola pare perpetuamente vivere. Un’atmosfera nella quale nulla pare confortare: neppure l’amore del poeta-cantore che vorrebbe scaldare quell’aria con i suoi segreti pensieri.
Ancora il realismo è dipinto da Sandro Giordani nell’opera Ciclamini, ispirato all’omonima lirica tratta da I’òri del bosch. Della lunga serie di poesie descrittive che il poeta dedica a quasi tutti gli elementi naturali del bosco, l’artista ha scelto quella che celebra i ciclamini. L’intenso viola dei petali rapisce lo sguardo, sottraendolo all’ambiente circostante sfuocato e infinito non definito.
Il disegno ad acquerello ripercorre puntualmente le descrizioni del poeta: la “bela coroncina a cinque ponte, le fòie tonde fate a coresin, i màneghi sotili. Lo sfondo evaporato è il contenitore ideale per le immagini oniriche che il poeta evoca nella seconda parte della lirica, quando il fiorellino è sottratto dal suo ambiente e diventa testimone di una situazione umana.
Tratte dal catalogo Vòia de sgolar, Opere ad acquerello ispirate a poesie di MARCO POLA nel centenario della nascita Agosto 2006.